Maria Cecilia Hospital / 13 dicembre 2024

Il caso Bove e la torsione di punta

Il caso Bove e la torsione di punta
Secondo il primo referto medico dell’ospedale di Careggi, Edoardo Bove, il centrocampista della Fiorentina che si è accasciato in campo domenica scorsa durante la partita contro l'Inter, potrebbe essere stato vittima di una aritmia ventricolare maligna nota come “torsione di punta”, una forma di tachicardia ventricolare a diverse morfologie definita “polimorfa” che ha origine nei ventricoli, associata in genere a malattie strutturali del cuore (ischemia, miocardite) o a malattie dei canali ionici delle cellule del cuore (miocardiociti) dette “canalopatie” come la Sindrome di Brugada, la Sindrome del QT lungo e del QT corto, o ad alterazioni degli elettroliti nel sangue (ipopotassiemia), ma anche in cuori strutturalmente “sani”.

Nei giorni successivi l’atleta è stato sottoposto a tutti gli accertamenti clinico-strumentali compresa la RMN del cuore che ha meso in evidenza una fibrosi (cicatrice) di una parte del muscolo cardiaco che può essere associata, quindi secondaria a infezione batterica o virale come il Coronavirus. “La torsione di punta determina un’attività elettrica ventricolare disorganizzata caotica con assi a differente morfologia – spiega il dott. Saverio Iacopino, coordinatore del dipartimento di Aritmologia ed elettrofisiologia di Maria Cecilia Hospital e autore di uno studio sull’’incidenza di problematiche del ritmo cardiaco nei pazienti affetti da Coronavirus pubblicato sulla rinomata rivista scientifica Circulation: Arrhythmia and Electrophysiology (AHA Journals) nel 2020 -.
Non è una tachicardia monomorfa ma polimorfa: anziché agire su un substrato unico rende elettricamente instabile un substrato più ampio. Mentre la tachicardia monomorfa può essere tollerata dal paziente, nella torsione di punta il cuore non si contrae ma si contorce, generando una sequenza di contrazioni dei ventricoli veloci e scoordinate, per cui il cuore non pompa correttamente sangue al cervello che a sua volta si spegne con un black out elettrico delle funzioni”.

Diagnosticata l’aritmia al giovane atleta è stata praticata la defibrillazione con successo e trasferito all’ospedale di Careggi dove sono emersi da subito livelli di potassio nel sangue molto bassi una condizione frequente negli sportivi che sudando e che possono perdere elettroliti basici come potassio, sodio, magnesio e calcio, tutti elementi che hanno ruolo nella stabilità delle membrane cellulari del cuore. Ma pare che esista anche una storia di cardiopatie pregressa di questo atleta. “Sembrerebbe che il centrocampista abbia avuto una miocardite post Covid – spiega il dott. Iacopino -.

Questa infiammazione, che lascia sul tessuto cardiaco una sorta di “cicatrice” che può determinare un potenziale rischio aritmico, pare fosse stata giù evidenziata da una risonanza magnetica che veniva ripetuta annualmente come previsto per gli atleti colpiti da Covid o pericardite post Covid con una rivalutazione completa eseguendo l’ecocardiogramma, l’holter cardiaco e il test da sforzo. Con questi tre criteri e gli esiti della risonanza si valuta se l’atleta può essere considerato riammesso all’attività agonistica o fermato temporaneamente in attesa di normalizzazione del quadro clinico-strumentale.

A questo punto la domanda che si pongono tutti è: Bove potrà tornare in campo? “Al paziente che ha subito un arresto cardiaco ed è stato rianimato con defibrillazione e manovre di rianimazione cardiopolmonare è stato applicato un defibrillatore sottocutaneo in prevenzione secondaria – spiega il dott. Iacopino -. Le linee guida nazionali di Medicina dello Sport in Italia prevedono che un atleta a cui è stato installato un defibrillatore non è idoneo all’attività sportiva agonistica, a causa della elevata possibilità di recidive, nonostante il defibrillatore venga impiantato proprio per assicurare un intervento tempestivo in caso di fibrillazione. Secondo queste regole, quindi, in Italia Bove può più giocare. Eserciterà la sua professione in altri paesi della Comunità Europea che accettano l’idoneità agonistica anche se portatori di defibrillatore impiantabile”.

Nei giorni scorsi il centrocampista è stato sottoposto anche a un prelievo genetico i cui esiti non arriveranno prima di qualche mese e che potrebbero aggiungere un tassello in più al quadro diagnostico complessivo. “La genetica può dare risposte importanti sulle batterie di geni conosciuti connessi alle malattie aritmogene – spiega il dott. Iacopino -: se emergesse una problematica genetica si aggiungerebbe al quadro complessivo un criterio di rischio ulteriore. In attesa degli esiti, Bove è stato dimesso con un defibrillatore sottocutaneo impiantato in prevenzione secondaria. Ma qui si apre una riflessione necessaria: come si sarebbe potuto prevenire un evento cardiaco di questo genere? Sicuramente gli esami genetici da fare sugli atleti in giovane età possono fornire un elemento di valutazione in più, ma non determinante in fase di decision making (processo decisionale). Invece, sarebbe consigliata una più stretta collaborazione tra medico dello sport, cardiologo ed aritmologo: l’Italia è tra i paesi più attrezzati nello screening nella medicina dello sport, ma non si può lasciare l’onere di valutare gli esiti al solo medico sportivo”.
Revisione medica a cura di: Dott. Saverio Iacopino

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